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Immagine di copertina di Roberta Manzin
L’autrice
Nasco nella nebbia estiva del Delta del Po quasi 26 anni fa, tra il sacro e il profano di vite migranti; mi trasferisco a Milano a 19 anni per sradicarmi dalle origini, capendo di non volerlo fare mai e, in quelle origini, ritornarci tra i non luoghi e persone altre. Studio Lingue e Letterature Straniere all’Università Cattolica dove conseguo una laurea triennale e magistrale. Quest’ultima mi permette di coronare il sogno, o uno dei: immergermi nella poesia di Charles Baudelaire, che mi ispira e istiga. Gli dedico una tesi, consapevole di non poterne mai essere sazia. Così, inizio il cammino per il dottorato senza aver certezze sull’identità del domani: chi le ha, poi? Tra i vari cammini accelero il tempo e parte cruciale di me si dedica all’agonismo: corro, corro ovunque, corro in ogni tempo e in ogni spazio. E gareggio, per dare un senso ai chilometri.
Perché ho scritto questa raccolta di poesie?
Ho cercato di comunicare – per bisogno e necessità – tutto il dolore di cui sono stata contenuto e contenitore, come una grezza metonimia. Chi non lo è stata almeno una lunga volta nella propria breve vita? Il dolore come foglie acri tra le radici di una famiglia che sbocciano in amori sfioriti e, come gambi di rose, le radici pungono il quotidiano di vite che passano come lampi fugaci nei cieli inermi. La scrittura è nata come un atto inconsapevole: un po’ come quando prendi una scossa elettrica, sbatti il mignolo che s’incastra nell’angolo dimenticato della tua stessa casa, bruci senza saperlo il biglietto che ti scrisse il nonno prima di andarsene. Riesci a non reagire? E al dolore, al dolore riesci a non reagire? Ho scritto per reagire, ecco.
Qual è il tema che accomuna la raccolta?
La fine, quella fine che lega e unisce e così ha dato vita a quest’insieme di versi e vivi li tiene. La fine che dà vita a mia madre, la fine che dà fine a un amore o forse due, la fine di una vita intera, una di chissà quante altre o magari solo una. Parole che muoiono proibite al crepuscolo e si complicano ferite all’alba: questo accomuna la mia raccolta.
Perché ho scelto bookapoem?
Negli anni diverse persone mi chiedevano: perché non pubblichi quello che scrivi? Non ci pensavo, onestamente. Poi ho conosciuto questa casa editrice che aveva le sembianze di una casa per le sue linee editoriali innovative, la costruzione di una potenziale grande famiglia di sostenitori che ci credono al posto di chi non riesce più a credere. E, a prescindere, ne sarò grata.
Per quanto riguarda la selezione delle poesie, eccole:
7
Partirei
Se partissi nella direzione tua
E nel mare annegassi il mare
Fidato bacino di sogni gettati
E se pescassi inutili sembianze
Di vaste promesse affondate
Nei crimini di un bambino
Che ancora urla e spera
Ma già morto in una falsa epigrafe
Iscrive ciò che avrebbe voluto
Essere e non poter essere mai
36
Morta per un giorno
Ieri il desiderio fu mortale
Come una condizione attesa
e attinta per scordarmi la morale
Dell’obbligo e del dover attivo
Per sentirmi libera
Ma finire tra le fauci del decesso
In un minuto, adesso
Uscita così per danzare col tempo
Starne al passo, un ballo lento
Cosa mi appartiene, in fondo
Con la mia distesa di lacrime vive
Inondo l’abbandono giallo biondo
Non mi appartieni, in fondo
Uscita così per danzare col tempo
Ho lasciato un duro amore lontano
Perché di sovente ti indossa
Ti sta bene e non me lo spiego
Così, costretta a guardarvi
Osservarti mutare e perderti
per qualche istante, ti è capitato?
Lontano un amore duro ho lasciato
Vorrei dirti ora le stesse cose
un prete nelle quotidiane messe
Sottomesso a Dio, sottomette il popolo
credente, come puoi aver fiducia di me?
Le stesse cose nella primavera del verbo
Fiorire in un amore nuovo e sfiorire
Ieri il desiderio fu mortale
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