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Cartografia notturna

11,00 

di Alessia La Corte
12%
177 copie
all´obiettivo
95
Giorni rimasti
Inizio campagna 21 ottobre 2025
Fine campagna 29 gennaio 2026


Quantità
Modalità di spedizione
Consegna prevista per marzo 2026.
La spedizione avverrà tramite corriere espresso.

Spedizione gratuita per gli ordini nazionali da 3 copie in su (escluse zone di spedizione speciali).

Biografia

Nata a Erba (CO) il 2 gennaio 2002, ho conseguito la maturità artistica nel giugno 2020 presso il Liceo Artistico F. Melotti, Cantù (CO) . Attualmente frequento il terzo anno di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano.

Nell’anno 2025 vengono pubblicati dei miei testi nel secondo numero della rivista indipendente “Bite the Hand”,  mi sono classificata nei semifinalisti nel concorso “Beyond The Words” e nello stesso anno ho ricevuto una menzione speciale nel premio “Lupi Editore” e nel premio “Besio1860”.

L’opera

La raccolta nasce da un delirio notturno che si è tramutato nel testo “Delirio: liminale desiderio” durante una notte estiva. Il filo conduttore è la notte vissuta con follia o con una non ordinaria lucidità.

Ho voluto dar voce ai sonnambuli, alle ombre, ai margini trascurati e non abitabili, alla casa come corpo da cui evadere o in cui rimanere aggrappati con forza. Le prose poetiche sono il canto di chi non dorme, di chi cerca una redenzione nella notte.

Non ho voluto cercare risposte, ma cercare il delirio di chi si perde nel buio tra assenza e memoria.

Perché ho scelto di pubblicare con Bookapoem

Ho scelto Bookapoem perché è una realtà editoriale che dà voce a poeti emergenti come me, dando la possibilità di coltivare il proprio sogno attraverso una modalità del tutto innovativa, quale quella del crowdfunding.

 

Estratto

 

Quattro giorni prima dell’abisso 

 

Celo dietro le luci dei lampioni sguardi amari. Se fossi cencio, rondine al ritorno, acqua che scorre dalle fontane, in un angolo di una via remota, saprei che i bagliori sulla collina mi stanno parlando.

Non rinnego questo agosto che non scalda, rinnego di non essere angelo che tocca i tetti con i piedi.

Ma non avverto l’odore di alibi mai mostrati per dirmi che l’abbandono esiste.

Piango perché mi dissi addio, addio ai piedi scalzi sulla ghiaia, a sentire ogni singolo sasso sulla pelle nuda, addio a me stessa.

Non sono mai rincasata: nascosta dietro fumo, cenere che vola in alto.

Sento lo sterno che si comprime nel pensare che non ci sarei stata in questo agosto che non mi scalda.

[…]

Ora una falena falciata dalla luce della luna, i comignoli zitti, un libro di poesie mai aperto– tutto ciò che è lì aspetta che ritorni.

Mi dissi di ritornare, ma il ritorno è un io che muove i suoi passi all’indietro.

Mi cucio addosso gli amori finiti, i tentativi di fuga, ma non esiste una fuga, non esiste un ritorno.

Esiste uno stare, con i piedi a mollo, nell’acqua sapendola navigare nei quattro giorni prima dell’abisso.

 

Marginalità abitabile 

 

Il vento, i bordi della ringhiera. Nient’altro.

Eludo il mio corpo: sono il vento, adesso, che sfiora i capelli scompigliandoli.

Accovacciata a terra, sento il freddo del marmo, l’odore raffermo di un’estate appesa ad un filo che conosce notti troppo brevi e pomeriggi trascurati.

Attorno un tempo che non chiede nulla, se non di affrettare il passo quando viene sera.

Io rimango attorno, non nella visceralità della carne ma nella noia di un soffitto troppo scuro, nei segni sulle pareti.

Vene secche nell’intonaco, dettagli ignorati: è lì che mi fingo d’essere viva.

Dentro tutto tace, l’illusione del bisogno di non voler dire. Non ci sono epiloghi, solo frammenti che mi accolgono nel loro vuoto discreto.

[…]

E allora attendo, che il cielo si faccia più piccolo, una coperta cenciosa e troppo corta (bisogno claustrofobico di spazi angusti) fino a che l’aria si ritiri.

Sadismo nel restringersi nelle cose come se il margine fosse abitabile e non trascurabile.

Rinnego, ora, di essere vento, l’apertura, i prati ampi: lasciatemi quattro pareti di cielo che mi facciano da scudo.

Mi basta stare nell’odore stantio delle stagioni, per non sentire freddo, essere oggetto immobile.

Mi creperò in questa immobilità familiare, nell’inutilità del gesto.

 

 

Sul sentiero delle lanterne spente

Piume dorate.

(Quanto sai rifletterti nell’ombra?)

Nel giorno in cui diseppellirò le mie ossa

Forse farà luce.

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